A Torino, cercavo delle risposte. Speravo di trovarle nel Museo Egizio, tra cenni di storia antica e qualche pensiero che per la confusione si era un po’ ingiallito. Ma in realtà Torino mi sorprende sempre, mi scombina i piani, mi lascia a bocca aperta, non solo per le luminarie di Natale in piazza San Carlo o per i 16 gradi di sole caldo sulla pelle.
Al mio arrivo in Porta Nuova, nel salire sull’autobus stipato di gente, ho perso uno dei guanti di mia madre. Ho imparato a perdere treni, aerei, persone a me care fino ad obbligarmi a credere che è tutto un gioco che fa parte della vita. Forse quel guanto doveva trovare lì la sua sistemazione, lontano da me.
Sono pensieri sparsi ma Torino, per me, è un piccolo bicchiere d’acqua che accompagna il caffè al bar, è la luce della Mole Antoneliana che da lontano si riflette la sera sulle persiane dell’NH hotel Collection in Piazza Carlina. Sono angoli e vie che ti fregano perché sembrano tutte uguali. Incroci in cui diventa un piacere perdersi senza voler mettere il navigatore. Tutto questo per accorgersi che in tre giorni da turista quello che ho visto è molto più profondo. Ci sono momenti in cui ho pensato fosse una città sconosciuta e trovarmi a camminare da sola un po’ mi intimoriva. Eppure ho capito che quello che pensavo sul treno al momento della mia partenza poteva essere sovvertito in pochi minuti.
Credo di aver indossato una maschera che non mi appartiene, di averla voluta appiccicare sul mio viso perché non essere me, per una volta, mi poteva solo aiutare a guardarmi allo specchio. Poi me la sono dovuta togliere e dietro c’erano le rovine di una donna che non riusciva a contare sulle sue forze ma continuava a delegare agli altri. Questo periodo da sola mi sta aiutando a capire che, invece, posso contare sulle mie braccia. Perché non è ciò che possediamo a dimostrare il nostro valore. Ho anche capito che darsi una possibilità quando si è certi di non aver niente da dire può metterci alla prova. E quanto prendersi troppo sul serio sia un impedimento al lasciarsi andare.
Ho scoperto che percorrendo i portici di Piazza Vittorio Veneto si trova un posticino intimo dove mangiare pesce. E per quanto Torino può essere fredda la sera, puoi percepire la stessa soddisfazione di quando ti trovi al mare, con il vento che ti spettina i capelli al tramonto e scende quella brezza salina di una giornata piena. E lì da Mare Nostrum nel centro di una stanza ricca di persone, sorseggiando vino rosè del Trentino alto Adige ho realizzato quanto fossi fortunata a potere viaggiare stando seduta tra i miei pensieri. (Via M. Pescatore, 16).
Un altro posto che profuma di casa si chiama PoorManger ed è un concetto di food che nasce da un’idea e racconta in un menù semplice ma piuttosto versatile come la patata può diventare il piatto forte. Patate ripiene, tantissime varianti e due locali sempre pieni di gente. ( Via vittoria 36b/ Via Palazzo di Città 36B).
Così, ho… capito, scoperto e preso atto che adesso devo vivere per mettere in pratica. Tirando le somme, ho perso un guanto e forse anche le parole ma ho acquisito un’altra esperienza.
ph credits @bertolinielisabetta