Il detto in “amor vince chi fugge” lo avevo preso molto sul serio. Questo, perché ho un brutto difetto che ho imparato a smussare, vedo spesso possibili sfide e mi hanno insegnato che “vincere è l’unica cosa che conta”. I vincitori esultano, i vincitori sono sempre felici. Ma è davvero così?
Forse non bisognerebbe confondere la felicità con la serenità. La seconda, a mio dire, è molto più importante; significa equilibrio.
Vi racconto una storia, una volta ho conosciuto una persona, sembrava si potesse creare un bel rapporto, c’erano tutti i presupposti, poi è tutto diventato sfidante. Forse lo è sempre stato. Raggiungimento di obiettivi, tempi inesatti o sbagliati, philofibia (paura di provare sentimenti). E quando subentra la paura è tutto viene misurato sotto il microscopio non si riesce più a darsi come si vorrebbe, beh allora già si parte in perdita. Il prossimo step è quello della perdita del rispetto reciproco.
Ho un brutto difetto: la challenge
Ho un brutto difetto, mi piacciono i challenge. Sfidarsi sul lavoro è accettabile, essere determinati al raggiungimento di un obiettivo ancora di più ma quando subentra l’orgoglio, soprattutto nei rapporti è un errore da soglia di non ritorno. Sento spesso persone confondere la parola dignità con orgoglio. Ho questo difetto di ascoltare la vita degli altri, di analizzare caso per caso, poi mi friggo il cervello a pensare: “io avrei agito così? Chi ha davvero ragione?”. La verità di ogni singolo individuo non è comparabile alla mia verità, perché la propria verità la fanno le esperienze. Non esistono fallimenti ma solo esperienze di vita. Non esistono persone cattive ma solo comportamenti sbagliati derivati da una mancanza di consapevolezza e strumenti atti a conferirti il badge di portatore di risultati.
Ci ho pensato molto, ho dovuto svuotare il mio bicchiere per farci entrare nuove nozioni, mi sono spogliata di quella paura di perdere e ho compreso, dopo un lungo lavoro di crescita personale, che ciò che era importante e destinato a me doveva essere il bisogno di sentirmi parte di un cerchio. Un cerchio in cui non esiste inizio o fine e tutto scorre nel bene o nel male. In questo ipotetico cerchio che mi sono immaginata si partecipa, nessuno vince, nessuno perde e nessuno deve fuggire per paura. Ora penso che se sento il bisogno di fuggire da qualcosa o qualcuno è perché non fa per me e se non fa per me, non può esistere un podio o un vincitore.
Tutto si impara, la scuola della vita è più severa di una professoressa scorbutica, ti mette in riga, ti da e ti toglie in uno zig zag di emozioni. Ero certa che quello che fosse davvero importante doveva essere primeggiare per sentirsi sicuri e guardare gli altri dall’alto in basso. La voglia di vincere ti fa perdere in partenza, “giocare” per partecipare, con spensieratezza è il fulcro per l’equilibrio e la gioia. Non è allora forse questa, la ricetta per la felicità?