Ci sono parole e parole, alcune vanno dette, altre scritte e cancellate. Dietro le quali c’è la paura di non essere capiti, di abbassare le difese, di abbattere quei muri immaginari che erigiamo attorno alle nostre emozioni. Pensiamo di tenerle al caldo, speriamo che non arrivi mai nessuno a leggerci dentro e poi quando inevitabilmente succede di abbassare la guardia, piangiamo per la paura di aver aperto il cuore e aver esposto il nostro animo alle frecce immaginarie di qualcuno.
Non molto tempo fa mi è stato chiesto se in un nuovo rapporto o in un principio di esso avrei detto tutto sin da subito. Si tratta di abbassare le carte sul tavolo e lasciare che una possibile folata di vento le possa far cadere oltre i bordi. La mia risposta, d’istinto, è stata: “no”. E con un pizzico di fastidio ho pensato al mio passato, mi sono irrigidita e mi sono guardata dentro: “no assoluto” sarebbe un insulto alla mia intelligenza non imparare dagli sbagli.
Ci si lega e slega con la stessa facilità con la quale nascondiamo le nostre paure. Non si dovrebbero sfiorare le mani senza la voglia di stringerle.
“Nessuno dovrebbe sfiorarci le mani senza la concreta voglia di stringerle.” Quella volta in cui dissi ad alta voce questa questa frase mi sentii come chi toglie un cerotto dopo molto tempo. Non fui capita ma per qualche istante mi sentii meglio. Quindi, ho pensato, nessuno parte con la voglia di bluffare, stringendo forte a se le proprie carte, però ci si racconta giorno per giorno, sapere già tutto è come perdere la curiosità di viversi e di ascoltare; intanto si impara. Anche dai silenzi si impara. Proprio ieri dicevo ad un amico che mi chiedeva un mio pensiero introspettivo sul silenzio: “Il non dire è un’agonia sulla quale naviga il cuore sereno ma affonda quello inquieto” e nel pensare a questo ho davanti un fiume, mi immagino sulla banchina a guardare l’acqua scorrere e immedesimarmi nelle onde. Sono più o meno calme dal punto di vista in cui mi trovo e le percepisco.
Ogni tanto penso ad una cosa: “Non è il simbolo del cuore l’unione di due punti di domanda che si guardano l’un l’altro? Dipende dai punti di vista, dalla panoramica con cui guardi la vita. Io voglio pensarla così”. Ci si guarda come due grossi punti di domanda dietro ai quali si nasconde la vita, l’esperienza, ci si ascolta e non ci si svela, si cerca di mettere da parte la paura di essere incompresi e poi si vive. Ci si nutre nel presente, senza pensare al passato o al futuro. In questo modo non esiste paura alcuna, se non quella di spogliarsi un po’. Ma dopo tutto anche gli alberi si spogliano in inverno per rifiorire radiosi in primavera. Non credete?