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Ogni volta che mio padre scampava per il rotto della cuffia una malattia piuttosto grave, avevamo preso l’abitudine di immortalare in uno scatto quel momento. L’ultima volta in diretta dal reparto di unità coronarica, come per dire: “The Winner is…” un bel sorriso, selfie (O selfish come dice Lara) e via: si scatta. Si scatta, perché sono dell’idea che non si possano ricordare solo le cose belle, che c’è un momento per essere incredibilmente felici e ci deve essere anche un momento in cui essere incredibilmente tristi. Forse questo momento è ora giunto. Per me almeno, per la mia città, perché chi ha avuto la sfortuna di essere anche solo sfiorato da Covid19, ora è consapevole di quello che ha rischiato. E nessun racconto, nessuna testimonianza può essere lo stesso che provare sulla propria pelle il dolore, il disagio e la paura.

Forse sono stati giorni di sconsideratezza, quelli che hanno preceduto la mia strana influenza poi scoperta essere contagio da Coronavirus, quando mio padre ci ha chiamato dicendoci che il suo tampone era negativo ho tirato un sospiro di sollievo. In realtà non ha parlato con me personalmente, ma chi l’avrebbe mai detto che non avrebbe mai risposto al mio messaggio, quello che gli scrissi dal parcheggio dell’ospedale mentre tra una goccia di pioggia e l’altra, sul parabrezza dell’auto vedevo riflesse le luci delle ambulanze che facevano avanti e indietro.

 

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Testimonianze di Coronavirus, perché se non ti tocca le mani il Covid19 è solo una semplice influenza. Ce lo diciamo per sentirci al sicuro, quando dentro di noi sappiamo che non è così

Quando ho saputo la stessa sera che mio padre era nel reparto della terapia intensiva ho pensato che fosse un posto come l’unità coronarica, poi guardando il servizio di Piazza Pulita ho capito di cosa si trattasse davvero. Tra i frame di quella puntata quello che poi verrà riconosciuto dagli operatori del obitorio del Niguarda di Milano come un fisico corpulento davvero molto somigliante a quello di mio padre. Nulla di chiaro, la mancanza di limpidezza ha sempre avvolto con un velo di mistero tutto ciò che è avvenuto dal momento in cui mio padre ha perso i contatti con il mondo esterno. Da quando il suo cellulare, seppur acceso come quando ho rinvenuto i suoi effetti personali, ha smesso di squillare, di ricevere messaggi a doppia spunta. Da allora siamo rimasti immobili a chiederci quando fosse stato giusto consegnarlo nelle mani della sanità per una lastra ed un tampone, “un paio di giorni di degenza. La dottoressa ha detto mi tengono qui per sicurezza cara Bettina, mi servirebbero rasoio e schiuma da barba” e le sue Golia, caramelle che teneva in tasca probabilmente da quando era bambino, che mia nonna paterna ci dava quando facevamo le brave il pomeriggio.

Le abitudini che non si riescono a lasciare andare neppure dopo 70 anni. La sicurezza di sapere quello che abbiamo in tasca ci fa sentire meglio, più sicuri e attaccati ai ricordi ci addormentiamo sereni. Forse avrà pensato a questo mentre lo addormentavano per l’ultima volta, oppure avrà pensato ai suoi nipoti che lo stringevano forte a turno per dargli il bacio della buona notte. Mi avrà pensato? … quali saranno le ultime parole che ha sentito? Forse quelle di un operatore medico che gli diceva: ” Dr Carlo, la dobbiamo intubare, quando si risveglierà starà meglio“… chissà se ci avrà creduto davvero o se solo avrebbe voluto crederci.

 

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Il tampone, quello che io e mio padre abbiamo chiesto di poter fare con la maggior riservatezza  e privacy, quello che avremmo preferito fare presso il nostro domicilio, come qualcuno diceva fosse successo a tanti cremonesi probabilmente contagiati. La verità è che non c’è stato nessun tampone extra ospedaliero, forse si tratta solo di una leggenda. Una leggenda alla quale mio padre credeva. Ci credeva così tanto che i suoi due tamponi erano completamente negativi e sarebbe stato pronto a tornare a casa se non fosse che questo virus è subdolo e da un momento all’altro ti fa attraversare le porte della terapia intensiva per non uscirne più.

Avrà preso anche lui quel virus, il Coronavirus” mi disse il medico che rispose in notturna alla mia chiamata disperata per avere notizie appena appresi di mio padre in intensiva. Era quasi mezzanotte e non riuscivo a smettere di piangere. Iniziavo a pensare che non ci sarebbe stato un selfie da fare insieme. “Posso vederlo?” chiesi con voce flebile. “Può vederlo?” domandò a sua volta a qualcuno che non gli stava propriamente accanto. Una voce femminile, forse quella della capo- sala, rispose severamente di no. Non avevo il coraggio di chiedere altro. Stavo per salutare cordialmente con la promessa di richiamare l’indomani mattina poi aggiunsi, prima di riattaccare:” Dottore quante probabilità ci sono che possa salvarsi?” un istante di silenzio “Signora, ho figli e sono un figlio anch’io a mia volta, non le mento, le condizioni di suo padre sono disperate, ha rifiutato il caschetto e dopo un’ora e mezza sono stato costretto ad intubarlo e portarlo qui in terapia intensiva. E’ troppo presto per vedere come reagisce alle cure dobbiamo aspettare, ma se dovessi farle una statistica” un sospiro, una pausa un po’ più lunga questa volta. “Poche, sono poche signora” – “Può fargli una carezza da parte mia?” – “Certo questo posso farlo” – E riattaccai.

Spesso restiamo attaccati ad un filo che ci tiene appesi a ondeggiare tra il niente il tutto, la linea della vita è questo, così imprevedibile, così vera dal passare dalle soddisfazioni di un momento all’imprevisto dell’attimo successivo. Quella notte sperai, sperai con i pugni stretti come i bambini, tra l’insonnia e la trepidazione gelida di svegliarmi solo per fare una chiamata e sentirmi dire che l’aveva scampata ancora una volta. Per poterlo sgridare perché aveva sicuramente pensato che un paio di spruzzi di spray per il naso fossero meglio di una C-Pap. Ma i miei messaggi non erano mai stati visualizzati e la notte era così lunga e priva di risposte.

 

continua…

 

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Elisabetta Bertolini

The author Elisabetta Bertolini

Nata a Cremona nel 1987, Elisabetta Carlotta Bertolini è una blogger e influencer appassionata e fantasiosa, sempre attenta alle ultime tendenze della moda. Diplomata al liceo artistico, alterna la sua vita da blogger fashionista a quella di dolce mamma della piccola Gaia. Il suo blog nasce nel 2013, esattamente il 27 marzo, e in soli due anni si afferma come uno dei più seguiti a livello nazionale e internazionale.

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