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Ami così tanto la vita, anche in quelle giornate ‘no’ in cui puoi prenderti la confidenza di mandarla a fanculo che non ci pensi. Non ci pensi che puoi abbandonarla da un momento all’altro senza preavviso e che in questo determinato istante ciò che dico sta succedendo ad un sacco di gente nel mondo; precocemente. 

Trovo terribilmente ingiusta e non l’ho mai nascosto, la nonchalance con la quale, se esiste un Dio, si prenda la briga di scegliere a chi dire: “Tu resti! No, invece tu dei andare”. 

Se c’è un fato o un filo da tagliare in un ipotetico Ade della Grecia Antica io non lo capisco. 

E’ tremendo trovarsi a fare i conti con questa prospettiva, quando vedi andarsene persone che avrebbero potuto darti molto e che sono riuscite ad ironizzare fino alla fine. Ti rendi conto che forse, anche tu stessa, tu che riesci a ridere da sempre e di tutto, di te. Forse, non saresti in grado di fare lo stesso. Nei loro panni, eh sì perchè di panni si parla sempre. Quelli che indossiamo la mattina per portare i figli a scuola o semplicemente quelli che scegliamo di non indossare se ce ne restiamo tristemente tra le coperte, nel letto e deleghiamo qualcun altro. 

Poi, pensi ai problemi, se così possiamo chiamarli, che ti porti a dietro e che affronti ogni giorno, a volte creandoteli, per sentirti parte di questo grosso cerchio della vita. Quanti? Quanti di noi si creano dei problemi ogni giorno solo per sentirsi vivi e procrastinare, magari, eventuali responsabilità. 

Era un giorno di un mese che non ricordo neppure (pensate quanto sono profonda). Ricordo solo che indossavo un abbondante maglione, lei invece indossava una mantella e ci siamo salutate con un abbraccio tra sconosciute, con la promessa di eventuali bellissimi progetti in ogni caso. 

Sì, perché si fa la scelta di portarsi avanti tra noi e di volersi conoscere, quando davanti a te noti di avere quella che un qualsiasi Biagio Antonacci del popolo, definirebbe: “Bell’anima”.

Io non sono Dio, ma nel mio piccolo credo di vedere, sotto- sotto, quelle che sono belle anime. 

Poi, non mi dimentico di loro e voglio che possano attraverso me per poter raccontare qualcosa a chi mi ascolta, perché nel 2020, in un modo o nell’altro ho la fortuna di avere una community di persone che nonostante l’algoritmo avverso di instagram, mi ascoltano ancora. 

Così oggi, se siete “tutto-orecchi” vi chiedo di ascoltare e fare vostro quanto ha scritto una donna che ho stimato e stimo anche adesso che ha lasciato questa dimensione (per citare quello che avrebbe detto papà). Poi, forse è vero, ci sono modi per vedersi e sentirsi anche oltre la vita. Io tengo stretto ciò che ho potuto imparare dalla sua ironia un po’ nera a tratti, fino all’ultimo. Grazie Irene. A te e a chi ha permesso che in qualche modo potessi entrare, anche se per breve tempo, nella mia vita. 

Io e Michela Sciorio, credo che ti ricorderemo sempre per quell’aneddoto che ci raccontasti e che al momento non siamo riuscite a cogliere fino in fondo. Quando ad un convegno, parlando di Tumore, quello che avevi sconfitto da grande guerriera e ti faceva onore. Una persona ti ha dato una risposta poco sottile e superficiale, così superficiale che manco voglio dargli importanza adesso. E tu, ferita ma tutta d’un pezzo andasti in camera e bevesti un drink seguito da qualche goccia di Xanax per non pensare. 

Un comportamento irresponsabile per chi è pronto a giudicare e io ammetto che in quel momento fui attraversata da quel senso di umanità che si divide in due categorie. La prima è quella di dire: “ Questa è totalmente fuori” – La seconda “Come me. Dopo tutto i migliori sono pazzi” basti pensare a Van Gogh che si tagliò un orecchio e adesso è uno stimato pittore esposto al Metropolitan e non solo, 

Così, ora non giudico più l’eccezione di chi una volta nella vita vuole addormentarsi per non pensare. 

Dopo tutto, pensiamo sempre così tanto. Così, stamattina mentre ho voglia di pensarti  sto mangiando un cabaret di pizzette calde appena sfornate, mentre scelgo di condividere con gli altri le tue ultime parole. Certa che al termine della seguente lettura, chi è riuscito ad arrivare fino alla fine possa imparare a rivalutare le proprie priorità. Almeno per un pò

 

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“Speravo di rimandare il più possibile questo post, anche se ormai da tempo ero rassegnata all’idea che avrei dovuto scriverlo.

Per carità, alcuni eccepiranno che mi sto mettendo a nudo e non si fa, ma insomma, in questi mesi mi siete stati vicini seppur in modo diverso. 

Non vi meritate un silenzio da cui spuntare, ogni tanto, imbarazzati con un “Ciao, come va? Ci facciamo uno Spritz?”.

Allora, ho iniziato il terzo tipo di terapia e l’ho interrotta per gli effetti avversi.

Nel frattempo, però, René ha continuato a lavorare alacremente, e ormai – per una serie di ragioni che non ha senso dettagliare – sono estremamente debilitata e trascorro più o meno il 90% del tempo a letto.

Perché arriva ora questo post? Perché state tornando tutti dalle ferie. Avete pensato ad altro, giustamente, per mesi; ora vi vengo in mente e mi proponete caffè, cene, passeggiate e non so che altro.

Mi proponete, più banalmente, chiacchiere al telefono che io non ho voglia di fare o visite che non ho voglia di ricevere. Non perché non vi voglio bene, ma proprio perché ve ne voglio e sento di non aver più nulla di interessante da dirvi.

Una volta, forse in un post, ho scritto che parlavo di me solo quando aveva un senso per gli altri. Ecco, credetemi: qualsiasi cosa io possa dirvi ora, non lo capireste.

Parliamo di figli? Voi parlate di come crescerli, io parlo di come lasciarli. E vi urta.

Mi parlate di lavoro? Io ho dovuto chiudere i battenti pochi anni dopo aver trovato quello giusto. Non so che dirvi.

Parlate di qualsiasi cosa riguardi il futuro, e per me il futuro remoto è da qui a tre mesi (mi voglio rovinare, signo’).

I “Ma non posso sentirti parlare così” e i silenzi telefonici che li accompagnano ve li lascio per quando saprete cos’è il dolore fisico vero, che si cura prendendo sostanze che poi ti lasciano tramortito per giorni.

“Ma pensa ai tuoi bambini” me lo dite quando ho appena spento la luce su quella parte della mia vita, perché a tutto c’è un limite. Avete mai ascoltato i singhiozzi di un bimbo di sette anni quando gli dici che presto la mamma andrà in Paradiso? Non ve lo auguro. Voi avete ragione a pensare ai vostri figli: per me la sfida è accettare che da domani ci penseranno altri.

Non mi ripeto sul pensiero positivo, e non ho cambiato opinione di una virgola su tutto il resto. Per sopravvivere, mi attacco alle poche relazioni che in questo momento sono possibili senza stancarmi. 

Sono arrivata al punto da poter semplicemente rispondere “no grazie” alle vostre offerte. Non me ne vogliate. In altri momenti avrei adorato bere un caffè con voi ma ecco, il momento non è questo. Arriverà, tornerà? Vi chiamo io, nel caso.

Ora direte che sono depressa. Mai stata. Da un certo punto di vista non sono mai stata meglio, più distaccata da tutti i problemi della vita. Ma anche se lo spirito è forte, la carne è debole. È quando inizia a cedere che ti rendi conto dell’importanza dell’involucro rispetto al contenuto.

Non ho rimorsi: è un cancro rarissimo, una mutazione, mi ha scelto tra tanti. Avrei potuto mangiare meno patatine e più broccoli, ma nulla sarebbe cambiato. O magari sono state le scie chimiche e il 4G.

Quindi, certo, ci berremo uno Spritz, dove e quando però non lo so. 

Grazie Jacques, come al solito.”  Tratto dall’ultimo post facebook di irene Facci,  una Grande donna – 

 

 

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Elisabetta Bertolini

The author Elisabetta Bertolini

Nata a Cremona nel 1987, Elisabetta Carlotta Bertolini è una blogger e influencer appassionata e fantasiosa, sempre attenta alle ultime tendenze della moda. Diplomata al liceo artistico, alterna la sua vita da blogger fashionista a quella di dolce mamma della piccola Gaia. Il suo blog nasce nel 2013, esattamente il 27 marzo, e in soli due anni si afferma come uno dei più seguiti a livello nazionale e internazionale.

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