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Ogni giorno deve essere il 25 novembre – il giorno contro la violenza sulle donne. Il rispetto non deve avere la data di scadenza e bisogna fare qualcosa di concreto per tutte quelle donne: madri e figlie imprigionate in un regime di violenza. Uso la parola prigione perché è proprio così, ci si sente sole e l’unico aiuto spesso è un quaderno nascosto in casa da qualche parte per ricordarci chi siamo e fare autoanalisi. Qui non esiste lo shock del foglio bianco perché le parole escono fluide, senza bisogno di correzioni perché nessun altro le leggerà. Ogni santo giorno si vive al confine con la rabbia, sempre sul chi-va-la perché la paura di un gesto sbagliato può trasformare la giornata. Sbagli a lavare un bicchiere, non sali la pasta e la persona che per tutti fuori da quella casa è la migliore del mondo, diventa un mostro in grado di ferire con le parole più becere. Fendenti che hanno lacerato totalmente prima la tua anima e poi il tuo cervello fino a convincerti che sei squilibrata, che sei totalmente pazza. Perché nessun altro vede tutto questo, perché lui è amato dagli amici, rispettato dai colleghi; sempre.

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Giorno dopo giorno scrivi pagine e ti chiudi in te stessa, sei cambiata e ti trovi a fare i conti con una versione molto più ispida di te, così spigolosa e fredda. Ripensi a ciò che eri e ciò che sei, ti guardi allo specchio e non ti riconosci. Sei nervosa, scatti per qualsiasi cosa e non perché sei sempre sotto ciclo ma perché dentro bruci e non hai nessuno con cui parlarne. La consapevolezza che sono due motivi ti logora ogni giorno di più. Come una falda che ad ogni lite, discussione e atto di violenza si espande. Non tutti i giorni sono uguali, ci sono giorni in cui sei più leggera e ti sembra di stare bene, forse perché il tuo mondo sono è nel sorriso dei tuoi figli. Ci sono giorni invece in cui una piccola cosa diventa un profondo vortice di violenza che ti fa chiudere in te stessa e la mattina dopo fatichi ad alzarti dal letto. La violenza non è solo la faccia o il corpo pieno di lividi, quelli furbi non colpiscono mai il viso, non ti lasciano tagli evidenti ma ti fanno male lo stesso, piccoli lividi e botte sulle braccia; parole che distruggono dall’interno.

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Violenza di genere, donne vittime di violenza, una violenza che sembra silenziosa perché non lascia troppi lividi e si impara a conviverci

Le storie vere sono diverse da quelle che raccontano in tv, dove l’uomo violento è solo quello che ti spacca la faccia, quello possessivo, quello geloso. L’uomo violento è anche quello che ti tiene lì e aspetta una tua mossa falsa per convincerti che non vali niente. Quello che ogni giorno ripete ai tuoi figli quanto siano incapaci, quello che usa parole dure con la superficialità di chi ordina uno spritz al bar. Quello che picchia i tuoi figli con la massima che li sta educando, quello che ha sofferto piegato in due per le botte nella sua stessa adolescenza e non conosce altri strumenti per comunicare ciò che sente. Ci sono silenzi che sfidano più delle parole, in quei silenzi cresce un uomo che accumula rabbia sin da piccolo e la tramanda ai suoi figli. Spesso uomini ben inseriti in un contesto sociale che li rende appagati. E poi ci sono le mura di casa, insonorizzate dalle urla, dove nessuna chiave chiude veramente la porta. E con queste situazioni che non sai come gestire impari a convivere. Questa è la vera solitudine descritta con altre parole.

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